Libertà

Questo blog vuole essere un'antologia sulla libertà. E' dedicato a tutti coloro che credono che la Libertà sia assolutamente necessaria allo sviluppo della nostra civiltà, tormentata ancora da ogni genere di sopruso, guerre, torture e ingiustizie sociali

venerdì 30 maggio 2008

Breve storia del Tibet moderno

Nel 1949, quando la neonata Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong iniziò a reclamare il Tibet come parte integrante del suo territorio. Nell’ottobre 1950 l’esercito cinese penetrò nella provincia occidentale del Tibet chiamata Khan e infiltrò le sue truppe nella regione nord est, Amdo.

Nel novembre 1950, l’allora quindicenne Dalai Lama, assunse i poteri temporali e spirituali del Tibet e inviò nel maggio ‘51 una sua delegazione a Pechino, per avviare trattative con l’invasore cinese.

L’esito di questo incontro fu l’imposizione da parte del governo cinese del cosiddetto "trattato dei 17 punti per la pace e la liberazione del Tibet", con cui si affermava la sovranità della Cina su un Tibet a cui era riconosciuto il diritto a mantenere il suo sistema politico ed economico, nonché il ruolo essenziale affidato al Dalai Lama.
Negli anni seguenti il governo cinese violentò ripetutamente gli articoli di questo già iniquo trattato, fino a trasformare il Tibet in una sua colonia.

Fra il 1954 e il 1959, nelle regioni orientali del Tibet, specialmente nel Kham, sorse un primo movimento di resistenza, per sconfiggere il quale il governo cinese pose in essere un susseguirsi di sanguinose repressioni.

Nel 1959 ci fu la svolta estremista di Mao Zedong che causò una serie di manifestazioni del popolo tibetano in difesa del suo leader spirituale, il Dalai Lama. In seguito al diffondersi di insistenti voci sulle intenzioni cinesi di rapirlo, il Dalai Lama fu costretto a fuggire in India.

Ben presto la situazione precipitò. Il governo cinese reagì con una violenza inaudita, sconosciuta al popolo tibetano.

Venne imposto l'ateismo di Stato, migliaia di uomini, donne e bambini vennero massacrati o imprigionati; migliaia di templi e monasteri vennero rasi al suolo con bombardamenti o riconvertiti in stalle e magazzini.

La società tibetana fu sconvolta da questa opera di sinizzazione, che condusse al divieto perfino di possedere una foto del Dalai Lama, all’imposizione dell'insegnamento della lingua cinese e all'indottrinamento al pensiero maoista, all’arruolamento di tutti gli individui abili in brigate di lavoro e unità di produzione, alla distruzione di quasi tutti i tesori architettonici e artistici della nazione, fino ad arrivare allo sradicamento della classe intellettuale tibetana.

Profughi a decine di migliaia cominciarono a varcare le frontiere dell'Himalaya cercando rifugio in India, nel Bhutan, nel Nepal.

Nel 1962 la Cina lanciò dal Tibet un attacco contro le frontiere settentrionali dell'lndia ed impiantò nei deserti tibetani basi missilistiche nucleari.

Tra il 1959 e il 1965 ci furono diverse deliberazioni dell’Assemblea generale dell’ONU per spingere la Cina a riconoscere il diritto all’autodeterminazione dei Tibet e al rispetto dei diritti umani del popolo tibetano. Per tutta risposta nel 1965 la Cina ribattezzò il Tibet "Regione Autonoma dello Xizang", mentre ampie aree abitate da popolazioni di cultura e tradizione tibetana vennero accorpate alle province cinesi dello Sichuan e del Ch'ing-hai.
Quando a partire dal 1966 la Rivoluzione culturale si estese anche in questo martoriato paese, le famigerate Guardie rosse completarono l’opera di distruzione già cominciata: tappezzando la capitale Lhasa di bandiere rosse e ritratti di Mao, rinominando strade e piazze, distrussero quanto rimaneva dei monasteri e delle istituzioni culturali e religiose tibetane. Furono avviati processi, perquisizioni, sedute di “rieducazione”; i monaci ed i dissidenti vennero incarcerati e torturati. Si calcola che tutte queste misure provocarono la morte di circa 1,3 milioni di persone (circa un quinto dell’intera popolazione). Anche dopo le tiepide aperture seguite alla morte di Mao nel 1976 è proseguita l’opera di cinesizzazione forzata del paese.

Nel 1979 Deng Xiao Ping ha infatti invitato il Dalai Lama a mandare suo fratello in visita in Tibet con l’intento apparente di fargli constatare che le condizioni di vita del suo popolo erano migliorate, ma in realtà per convincerlo a tornare in patria dopo aver rinunciato alle richieste indipendentiste.

Manifestazioni prima di tripudio e poi di ribellione accompagnarono questa visita, con le tristemente consuete repressioni militari.

Negli anni Ottanta il governo di Pechino ha iniziato a organizzare ondate di immigrazione di massa, per le quali nelle città tibetane e nelle sue valli il rapporto fra abitanti cinesi e tibetani è divenuto di due/ tre a uno.

Ciò ha esteso il potere cinese non solo in ambito politico ed economico, ma anche nella vita religiosa e culturale del popolo tibetano. Basti pensare che il cinese è oggi divenuto la lingua ufficiale del Tibet, mentre il tibetano è stato fatto scendere al rango di dialetto, o al fatto che, senza apparente ironia, il regime comunista è arrivato ad arrogarsi il diritto di consacrare i veri Lama reincarnati.

Il Tibet continua a essere il teatro di periodiche insurrezioni contro i cinesi. Nel 1987 e nel 1989 ebbero luogo dimostrazioni anti cinesi su larga scala. Hu Jintao, allora leader del partito comunista a Lhasa e oggi numero uno del regime a Pechino, dichiarò la legge marziale e il massacro dei dimostranti.

Negli anni seguenti il Dalai Lama, dal suo governo in esilio, ha promosso un’innumerevole serie di appelli e meeting, cercando uno spiraglio nella ferrea politica cinese.

Un Piano in 5 punti presentato al Congresso degli USA nel settembre 1987. Una proposta di negoziazione con il governo Cinese presentata nel Giugno 1988 al Parlamento di Strasburgo.

Un appello lanciato nell’ottobre 1991, in un discorso alla Yale University, per un sostegno dell’opinione pubblica internazionale sulla possibilità di ottenere dal governo cinese il permesso di compiere un breve viaggio in Tibet.

Purtroppo sarebbe pleonastico continuare l’elenco: la risposta del governo cinese è sempre stata un secco "No".

La storia del Tibet sta continuando con i recentissimi massacri, arresti e torture ordinati dal governo cinese.

Sembra oggi lecito domandarsi se sarà possibile porre fine a quello che lo stesso Dalai Lama ha definito "il genocidio culturale del popolo tibetano".

Nelson Mandela


Un personaggio storico, una di quelle persone che in vita fanno già parte della leggenda, alla stregua di Mikhail Gorbaciov o Fidel Castro. Nelson Mandela infatti è il simbolo del Sud Africa, appellativo che si è conquistato in un'intera vita spesa alla lotta contro l'apartheid ed alla conquista della libertà per il suo popolo. Quello che ha sempre colpito in lui è la sua statura morale e la convinzione con cui ha vissuto la propria vita in favore degli altri.

Figlio di un capo della tribù Thembu (e quindi, secondo il sistema di caste tribali vigente in Africa, di origini aristocratiche), Nelson Rolihlahla Mandela nasce il 18 luglio 1918. Dopo aver seguito gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza, nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell'ANC (African National Congress) guidando per anni campagne pacifiche contro il cosiddetto "Apartheid", ossia quel regime politico che favorisce, anche sul piano legale e giuridico, la segregazione dei negri rispetto ai bianchi.

Del 1960 è l'episodio che segnerà per sempre la vita del leader nero. Il regime di Pretoria, durante quello che è conosciuto come "il massacro di Shaperville", elimina volontariamente e con una proditoria operazione 69 militanti dell'ANC.
In seguito, mette al bando e fuorilegge l'intera associazione. Mandela, fortunatamente, sopravvive alla strage e riesce a fuggire. Raccolti gli altri esponenti rimasti in vita, dà vita ad una frangia militarista, decisa a rovesciare il regime e a difendere i propri diritti con le armi. Viene arrestato nel 1963 e dopo un procedimento durato nove mesi è condannato all'ergastolo.

La più alta testimonianza dell'impegno politico e sociale di Mandela la si ritrova proprio nel discorso pronunciato di fronte ai giudici del tribunale, prima che questi pronunciassero il loro verdetto: "Sono pronto a pagare la pena anche se so quanto triste e disperata sia la situazione per un africano in un carcere di questo paese. Sono stato in queste prigioni e so quanto forte sia la discriminazione, anche dietro le mura di una prigione, contro gli africani... In ogni caso queste considerazioni non distoglieranno me né altri come me dal sentiero che ho intrapreso. Per gli uomini, la libertà nella propria terra è l'apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa meta. Più potente della paura per l'inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni, in questo paese... non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa corte sono i membri del governo".

giovedì 29 maggio 2008

L'Italia e i diritti dei Rom e Sinti

24.04.2006

Secondo il Comitato Europeo per i Diritti Sociali l’Italia sistematicamente viola, con politiche e prassi, il diritto di rom e sinti ad un alloggio adeguato. Riceviamo e pubblichiamo il comunicato del CEDS
24 Aprile 2006, Roma, Strasburgo, Budapest. In una decisione resa pubblica oggi, il Comitato Europeo per i Diritti Sociali (CEDS) ha deciso che l’Italia sistematicamente viola, con politiche e prassi, il diritto di rom e sinti ad un alloggio adeguato. La decisione è basata su un Reclamo Collettivo presentato contro l’Italia dallo European Roma Rights Centre (ERRC), in collaborazione con osservAzione, secondo la modalità prevista dalla Carta Sociale Europea Revisionata.

Le politiche abitative per rom e sinti puntano a separare questi gruppi dal resto della società italiana e a tenerli artificialmente esclusi. Bloccano qualsiasi possibilità di integrazione e condannano i rom a subire il peso della segregazione su base razziale. In numerosi insediamenti di rom e sinti si riscontrano condizioni abitative estremamente inadeguate, che sono una minaccia per la salute e per la stessa vita dei residenti nei campi.

Inoltre, le autorità italiane sistematicamente e con regolarità sottopongono rom e sinti a sgomberi forzati dalle loro dimore. Durante gli sgomberi, le autorità spesso distruggono arbitrariamente i beni di rom e sinti, adoperano un linguaggio denigratorio e offensivo e umiliano gli sfrattati in vari modi. In molti casi, le persone cacciate dalle loro residenze come risultato delle azioni della polizia e delle
autorità locali sono rese senza casa. In alcune circostanze, nel corso di tali sgomberi, i rom stranieri sono stati espulsi collettivamente dall’Italia. Molti rom e sinti in Italia vivono sotto la continua minaccia di sgomberi forzati.

Amnesty


Amnesty: «In 61 paesi del mondo si continua a praticare la tortura»

Critiche agli Usa. «Ingiustizia, disuguaglianza e impunità sono i tratti significativi del mondo di oggi»
A 60 anni dall'adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in almeno 61 paesi del Mondo ci sono prove che sia ancora praticata la tortura; in altri 54 si celebrano processi iniqui e in 77 non è consentita la libera espressione delle idee. Nel rapporto annuale 2008 di Amnesty International, che contiene questi dati, si chiede ufficialmente ai leader mondiali di porgere le scuse per questi 60 anni di fallimenti. E' un quadro drammatico, che fotografa un mondo che non migliora, anzi. «L'ingiustizia, la disuguaglianza e l'impunità sono i tratti significativi del mondo di oggi» ha detto il presidente della sezione italiana di Amnesty Paolo Pobbiati durante la presentazione del rapporto. «Le crisi dei diritti umani in Darfur, Zimbabwe, Gaza, Iraq e Myanmar richiedono un’azione immediata - ha aggiunto Pobbiati. I governi devono agire subito, per colmare il divario crescente tra ciò in cui s’impegnano e quello che fanno».




Il debito del 3° mondo


mercoledì 28 maggio 2008

18 Pensieri del Dalai Lama


1) Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano un grande rischio.

2) Quando perdi, non perdere la lezione.

3) Segui sempre le 3 "R": Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.

4) Ricorda che non ottenere quel che si vuole può essere talvolta un meraviglioso colpo di fortuna.

5) Impara le regole, affinché tu possa infrangerle in modo appropriato.

6) Non permettere che una piccola disputa danneggi una grande amicizia.

7) Quando ti accorgi di aver commesso un errore, fai immediatamente qualcosa per correggerlo.

8) Trascorri un po' di tempo da solo ogni giorno.

9) Apri le braccia al cambiamento, ma non lasciar andare i tuoi valori.

10) Ricorda che talvolta il silenzio è la migliore risposta.

11) Vivi una buona, onorevole vita, di modo che, quando ci ripenserai da vecchio, potrai godertela una seconda volta.

12) Un'atmosfera amorevole nella tua casa dev'essere il fondamento della tua vita.

13) Quando ti trovi in disaccordo con le persone a te care, affronta soltanto il problema attuale, senza tirare in ballo il passato.

14) Condividi la tua conoscenza. E' un modo di raggiungere l'immortalità.

15) Sii gentile con la Terra.

16) Almeno una volta l'anno, vai in un posto dove non sei mai stato prima.

17) Ricorda che il miglior rapporto è quello in cui ci si ama di più di quanto si abbia bisogno l'uno dell'altro.

18) Giudica il tuo successo in relazione a ciò a cui hai dovuto rinunciare per ottenerlo.

Moratoria sull'uso della pena di morte

ONU - 18 dicembre 2007, Moratoria sull'uso della pena di morte
Risoluzione delle Nazioni Unite sulla pena di morte, approvata il 18 dicembre 2007
L'Assemblea Generale,

Guidata dagli scopi e dai principi espressi nella Carta delle Nazioni Unite,

Richiamando la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo[1], la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici[2] e la Convenzione sui Diritti del Bambino[3],

Richiamando anche le risoluzioni sulla questione della pena di morte adottata nell'ultimo decennio dalla Commissione sui Diritti Umani in tutte le sessioni consecutive, l'ultima essendo la 2005/59[4], con cui la Commissione ha esortato gli Stati che ancora mantengono la pena di morte affinché la aboliscano completamente e, allo stesso tempo, stabiliscono una moratoria delle esecuzioni,

Richiamando inoltre gli importanti risultati conseguiti dalla ex Commissione sui Diritti Umani sulla questione della pena di morte, e contemplando che il Consiglio sui Diritti Umani possa continuare a lavorare su questo problema,

Considerando che l'uso della pena di morte attacca la dignità umana e convinti che una moratoria sull'uso della pena di morte contribuisca alla promozione e allo sviluppo progressivo dei diritti umani, che non c'è alcuna prova conclusiva del fatto che la pena di morte abbia un valore deterrente e che ogni errore o fallimento della giustizia, con l'implementazione della pena di morte, è irreversibile e irreparabile,

Accogliendo le decisioni prese da un crescente numero di Stati nell'applicare una moratoria sulle esecuzioni, seguita in molti casi dall'abolizione della pena di morte,

Esprime la sua profonda preoccupazione riguardo la continua applicazione della pena di morte;
Invita tutti gli Stati che ancora hanno in vigore la pena di morte a:
(a) Rispettare gli standard internazionali per fornire clausole che salvaguardino la protezione dei diritti di coloro che affrontano la pena di morte, in particolare gli standard minimi, come previsto nell'allegata risoluzione 1984/50 del 25 maggio 1984 del Consiglio Sociale ed Economico;
(b) Fornire al Segretario Generale le informazioni relative all'uso della pena capitale e l'osservanza delle clausole di salvaguardia della protezione dei diritti di coloro che devono affrontare la pena di morte;
(c) Restringere in modo progressivo l'uso della pena di morte e ridurre il numero dei reati per i quali essa è prevista;
(d) Stabilire una moratoria sulle esecuzioni con lo scopo di abolire la pena di morte;
Invita gli Stati che hanno abolito la pena di morte a non reintrodurla;
Chiede al Segretario Generale di riferire all'Assemblea Generale nel corso della sua sessantatreesima sessione riguardo l'implementazione della presente risoluzione;
Decide di continuare la discussione su questa materia durante la sessantatreesima sessione, sotto lo stesso punto dell'agenda.

Dichiarazione dei diritti dell'uomo

Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948

Preambolo

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godono della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti dell'uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo dei rapporti amichevoli tra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'eguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un migliore tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l'osservanza universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di queste libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;

L'Assemblea Generale
proclama

la presente Dichiarazione Universale dei Diritti Dell'Uomo come ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 2
1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
2. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.

Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.

Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.

Articolo 6
Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un'eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un'eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.

Articolo 8
Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibiltà di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.

Articolo 9
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

Articolo 10
Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonchè della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.

Articolo 11
1. Ogni individuo accusato di reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie per la sua difesa.
2. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.

Articolo 12
Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, nè a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

Articolo 13
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.

Articolo 14
1. Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni.
2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Articolo 15
1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, nè del diritto di mutare cittadinanza.

Articolo 16
1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento.
2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.
3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Articolo 17
1. Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà privata sua personale o in comune con gli altri.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.

Articolo 18
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.

Articolo 19
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Articolo 20
1. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.
2. Nessuno può essere costretto a far parte di un'associazione.

Articolo 21
1. Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.
2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio Paese.
3. La volontà popolare è il fondamento dell'autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione.

Articolo 22
Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonchè alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Articolo 23
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Articolo 24
Ogni individuo ha il diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

Articolo 25
1. Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
2. La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Articolo 26
1. Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria.
L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.
2. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli.

Articolo 27
1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.
2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.

Articolo 28
Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e la libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

Articolo 29
1. Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
2. Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e della libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.
3. Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite.

Articolo 30
Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati.