Libertà

Questo blog vuole essere un'antologia sulla libertà. E' dedicato a tutti coloro che credono che la Libertà sia assolutamente necessaria allo sviluppo della nostra civiltà, tormentata ancora da ogni genere di sopruso, guerre, torture e ingiustizie sociali

mercoledì 27 agosto 2008

Saccheggi e incendi di chiese, conventi e ospedali

India:sono 10 le vittime cattoliche
Saccheggi e incendi di chiese, conventi e ospedali

(ANSA) - NEW DELHI, 27 AGO - Sono salite a dieci le vittime cristiane degli scontri tra la comunita' induista e quella cattolica in Orissa. Lo riferisce l'agenzia di stampa della conferenza episcopale indiana. Il governo locale ha imposto il coprifuoco e ha dato ordine alla polizia di sparare a vista, ma uomini armati continuano a incendiare e saccheggiare chiese, conventi, centri sociali cristiani, istituzioni e abitazioni di religiosi, ostelli e anche ospedali cattolici.

http://notizie.alice.it/notizie/esteri/2008/08_agosto/27/india_sono_10_le_vittime_cattoliche,15862540.html

martedì 26 agosto 2008

Un sogno atteso cent'anni

di Federico Rampini
dal blog "Estremo Occidente", La Repubblica, 9 Agosto 2008


“Abbiamo atteso cent’anni / per arrivare a questo momento. Ora siamo pronti / e il mondo è pronto”. Sono le otto di sera a Pechino, il magnifico stadio Nido d’Uccello vibra commosso sulle note di questa canzone. E’ l’istante in cui appare alla tribuna d’onore il presidente Hu Jintao, circondato dai potenti della terra. Per la prima volta in vita sua il freddo, impenetrabile leader cinese è accolto con un boato. L’urlo di trionfo straripa dallo stadio, fa tremare tutta Pechino, risuona in mondovisione davanti a miliardi di telespettatori.

Inizia così la travolgente festa olimpica della Cina. Per quattro ore di pura felicità questa nazione grida al mondo: “Ce l’abbiamo fatta, guardate che cosa siamo diventati”. La canzone continua: “Avete percorso diecimila chilometri / per venire a questo appuntamento / ora condividete la nostra gioia”. Sotto la sublime regìa del maestro Zhang Yimou la Cina mette in scena il meglio di sé: una favola magica, l’immagine maestosa e serena che vuole proiettare nel mondo. Sfarzo ed eleganza, emozione e raffinatezza, tradizione e tecnologia.

Se per molti la Repubblica Popolare evoca solo la potenza economica, grazie ai miracoli di bravura di un esercito di attori, musicisti e ballerini appaiono d’incanto i simboli di una civiltà antica, colta, ricca di valori. Su un rotolo di bambù lungo quanto lo stadio volteggiano danzatori che con i corpi disegnano squisiti ideogrammi. Duemila e otto cantori nel costume antico dei percussori di Fu battono tamburi illuminati come cristalli liquidi di un display elettronico. Intanto decine di cubi ondeggiano al centro dell’arena, sorgono e si abbassano quasi mimando la crescita dei grattacieli che hanno proiettato Pechino verso altezze smisurate. Sui grandi schermi le parole di Confucio: “I nostri amici sono giunti da lontano, e noi siamo felici”.

La scena densa del significato più potente è La Via della Seta Marittima. Eserciti di marinai antichi muovono in sincronia lunghissimi remi, evocano la flotta maestosa con cui la dinastia Ming esplorò gli oceani molto prima delle esplorazioni navali europee. Appaiono d’incanto i simboli delle principali invenzioni che la Cina partorì con largo anticipo sull’Occidente: la carta, la stampa, la bussola, la polvere da sparo. Un messaggio allusivo: sono stati a lungo i più grandi, oggi tornano a occupare il posto che fu già loro.

Non sono ipnotizzati solo i 90.000 spettatori nel Nido d’Uccello. Il patriottismo non è monopolio dei ricchi. Anche nelle campagne povere dove l’antenna satellitare arriva prima dell’acqua potabile, in tanti condividono la festa olimpica. Il genio artistico e la perfezione coreografica, la modernità hi-tech e l’equilibrio melodioso del tai-chi condensano nello spettacolo stupefacente una lezione di storia. Col fiato sospeso, inebriati di fronte a tante bellezze, gli stranieri intuiscono una Cina rappacificata con il proprio passato. Confucio che fu maledetto e ripudiato dal maoismo, ora è additato come il vero maestro, l’Eterno.

Nel XXI secolo la Repubblica Popolare riaffonda con orgoglio le sue radici nella magnificenza dell’Impero Celeste. La società armoniosa, quell’ideale di convivenza ordinata e stabile che il partito comunista pretende di incarnare, è la riscoperta di un progetto millenario. Prodigiosi danzatori, acrobati, musicisti e cantanti, volgono lo sguardo verso Hu Jintao e il Politburo comunista al gran completo: il nuovo sovrano illuminato, il benevolo tiranno, il padre autoritario di una nazione tornata ad essere grande e fiera. I variopinti balletti delle minoranze etniche dai deliziosi costumi colorati raccontano una comunità nazionale unita sotto la salda guida del partito comunista, senza tensioni culturali né religiose fra tibetani e uiguri, miao e yi, hakka e cinesi han.

Noi sappiamo che le favole non sono vere, e la realtà cinese è gonfia di ingiustizie. Ma durante quattro ore di pura poesia tutti sono contagiati dalla formidabile energia, dalla fede nell’avvenire: la bambina col grembiule rosso che si alza nel cielo rincorrendo un aquilone è la metafora di una immensa nazione giovane che corre alla conquista del futuro. Giovanissimi anche le migliaia di volontari che ci hanno accolti, un’organizzazione efficiente e gentile, divertita e sorridente. Grazie a loro la polizia non si è vista: mai uno stadio europeo riceve una folla così sterminata con così pochi agenti. Certo si nuota in un’oceano di propaganda.

Green Olympics, le Olimpiadi dell’ambiente, ce le illustra un fantastico balletto di omini verdi che volteggiano attorno a un pianista: suona un pianoforte bianchissimo. Via via i ballerini si illuminano di candide fosforescenze, diventano stelle, il mosaico umano si trasforma in colomba della pace. Sul grande schermo una poesia dedicata al cambiamento climatico: “I ghiacciai si sciolgono / La terra si restringe / Gli uccelli scompaiono / Piantiamo alberi / La terra tornerà verde / Il cielo tornerà blu / Vedremo di nuovo la primavera”. Il cielo sullo stadio è gonfio di smog, come sempre. Non basta il genio dell’artista e la sua meravigliosa allucinazione per chiudere il divario tra aspirazioni e realtà. Ma la sera dell’8 agosto 2008 va in scena il sogno cinese: la certezza che tutte le sfide saranno vinte da questo popolo, anche le più terribili.

“Abbiamo atteso cent’anni”: il leitmotiv non è retorico, tocca una corda sensibile nel cuore dei cinesi. Per un secolo questa civiltà plurimillenaria precipitò nel declino, fu aggredita e umiliata da altre potenze. Dubitò di se stessa, avvinta dai complessi d’inferiorità. Il secolo delle umiliazioni è finito, i cinesi vogliono guardare il mondo a testa alta. E’ significativo che a interpretare questo stato d’animo il regime abbia chiamato Zhang Yimou. Da giovane fu un regista di rottura, perseguitato dalla censura per i suoi film, denunce delle ingiustizie sociali. Nella maturità è diventato il cantore del revival neoimperiale. Incarna il destino di una generazione. Finita la contestazione, ha accettato il patto sociale proposto da questo regime. I sacrifici sui diritti politici sono pesanti.

Altri risultati hanno reso accettabile quel prezzo. Una volta liberate le energie materiali della società civile, il progresso è prodigioso. La Cina ha ritrovato la sicurezza in se stessa. Potenza che si vuole tranquilla, sceglie di affermarsi non più nelle guerre o esportando la rivoluzione sulla punta dei fucili, ma attraverso la competizione economica. O sportiva.

In una prova di fair play, l’applauso più lungo prima della delegazione cinese viene riservato a quella americana, la grande rivale.

Un’altra coreografia abile ha “disegnato” la tribuna d’onore. Dietro Hu Jintao ci sono Bush (per la prima volta nella storia un presidente americano assiste a un’Olimpiade fuori dal suo paese), Putin, Sarkozy, il premier giapponese Fukuda, Sonia Gandhi, Lula. Tutti i governanti della terra. E fra loro il vecchio Henry Kissinger. Il protagonista della diplomazia del ping pong. Il regista del disgelo tra Cina e Stati Uniti, con lo storico vertice Nixon-Mao nel 1972. I dirigenti cinesi lo hanno voluto in bella vista. Una presenza esemplare: misura la grande distanza percorsa da quando la Repubblica Popolare era isolata, accerchiata.

Queste Olimpiadi devono anche cancellare un altro ricordo, molto più recente: Piazza Tienanmen. Anche nel 1989, per l’orrore provocato dal massacro degli studenti, Pechino si ritrovò in un angolo, colpita da embargo, reproba tra le nazioni.
L’elenco sterminato degli statisti stranieri accalcati in tribuna d’onore è un verdetto: missione compiuta.

sabato 2 agosto 2008

Lavoro minorile


Tutti i fratelli di Iqbal

Bambini che inseguono un pallone in un prato, bambini che giocano sui tappeti del salotto vicino a nonne e mamme, bambini dai visi felici che si confondono coi volti di altri bambini: bambini dagli occhi tristi e scuri che intrecciano al telaio fili di seta e lana in una stanza buia, bambini dal volto annerito dal fumo e dalla polvere. Bambini curvi sotto un carico di pietre, chini a intingere pezzetti di legno nello zolfo per farne dei fiammiferi, intenti a martellare pezzetti di metallo che diventeranno pallottole, a infilare perle di vetro per collane che nessuno di loro indosserà mai.
Sono i figli dell'altra metà del mondo, quelli che costruiscono i palloni con cui altri bambini giocheranno, i giocattoli che altri riceveranno in dono, i tappeti su cui altri si stenderanno a disegnare con le matite colorate. Sono i bambini che non esistono, quelli a cui nessuno ha mai raccontato favole, cresciuti troppo in fretta in un mondo che non si può permettere il lusso del tempo dei giochi e delle carezze. Bambini di cui leggiamo distrattamente o con pena infinita nelle pagine dei giornali, di cui ci ricordiamo quando bisogna costringere altri bambini, bambini di questa metà del mondo, a mangiare o a riordinare la loro stanzetta.
Sono i bambini provenienti da ogni parte dell'India che, a intervalli regolari, manifestano ogni anno per le strade di Delhi reclamando a gran voce il loro diritto all'istruzione e a una vita decente, una vita in cui non siano costretti a lavorare per pochi soldi o essere venduti come schiavi. Proteste per sensibilizzare le coscienze, proteste per non dimenticare una storia di qualche anno fa. La storia di un bambino pakistano di appena quattro anni venduto a un mercante di tappeti per ripagare i debiti della sua famiglia. La storia di Iqbal Masih che, al contrario degli altri, dopo sei anni di schiavitù al telaio era riuscito a sfuggire ai propri carcerieri e a mettersi in contatto con un’organizzazione sindacale. Nella sua breve stagione di gloria, Iqbal ha ricevuto i più alti riconoscimenti delle organizzazioni umanitarie e sindacali, interviste e fotografie dai giornali di mezzo mondo. Un bambino tre volte sfruttato dal mondo dei 'grandi': che ne hanno fatto prima uno schiavo, poi un esempio e da ultimo un martire. E' morto il sedici aprile del 1985, come muoiono soltanto gli eroi dei romanzi. Ucciso da un colpo di pistola proprio mentre, forse per la prima volta in vita sua, giocava spensierato come un bambino tra i bambini. Così, Iqbal è diventato il simbolo della ribellione alla schiavitù del lavoro minorile, piaga diffusa e non abbastanza combattuta in tre quarti del pianeta.
Sono più di duecentocinquanta milioni, secondo l'Unicef e le organizzazioni non governative, i bimbi lavoratori nel mondo. Di questi, centoventi milioni lavorano a tempo pieno, altri centotrenta svolgono attività dopo la scuola. L'età è compresa tra i cinque e i quindici anni. Il sessantuno per cento di loro vive in Asia. Secondo l’Organizzazione internazionale per il lavoro nella sola India, dove peraltro il lavoro minorile è vietato per legge, ci sono più di sessanta milioni di bambini lavoratori. Sono impiegati nel settore delle costruzioni, nel settore tessile, nell’industria del tabacco, nella produzione di manufatti e di fuochi d’artificio. Alcuni, come i piccoli impiegati nella produzione di braccialetti di vetro di Ferozabad, lavorano a contatto con acidi e sostanze chimiche. In Bangladesh, sono più di sei milioni i minori impiegati in attività pericolose o a rischio. In Nepal ogni anno almeno settemila bambine vengono avviate e costrette alla prostituzione, mentre i loro coetanei maschi vengono impiegati nella tessitura di tappeti o nella produzione di pallottole e nell’assemblaggio di armi.
La situazione non migliora neanche per quelli apparentemente baciati dalla fortuna: i bambini che lavorano nel mondo del cinema o della moda, coccolati e vezzeggiati per un attimo e subito ripiombati nel buio dell'anonimato e della quotidiana povertà: come Shafiq Syed, protagonista del film Salaam Bombay di Mira Nair, vincitore all'epoca del prestigioso National Award for the Best Child Actor, che sostiene di essere stato usato dalla Nair e poi gettato via come un limone spremuto, senza tanti complimenti.
Le cause primarie della schiavitù o del lavoro minorile sono la povertà e la guerra. Sembra ovvio ma non lo è affatto, se si pensa che soltanto da pochi anni a questa parte le organizzazioni internazionali si sono rese conto che il denaro, i programmi di scolarizzazione e il boicottaggio delle imprese che impiegano manodopera infantile non bastano. I piccoli lavoratori difatti, privati del loro reddito, finiscono direttamente tra le leve della criminalità spicciola o sulla strada a prostituirsi per pochi soldi. Il vero problema è fornire redditi alternative alle famiglie. Così in India, Bangladesh e Pakistan sono stati stanziati svariati milioni di dollari da impiegare in programmi di sostegno alle famiglie bisognose. Ma anche questo non è ancora abbastanza. Secondo Carol Bellamy, direttrice dell'Unicef, "Aids, guerre e miseria sono i tre nemici che attendono al varco i bambini alle soglie del nuovo millennio, che mettono in pericolo la loro vita, il loro sviluppo, il loro futuro. Per sconfiggerli, non bastano palliativi o programmi normali: occorre una mobilitazione straordinaria dei leader mondiali, il cui scarso impegno verso l'infanzia di fatto consente il perpetuarsi di una inutile strage di bambini e la continua violazione dei loro diritti"

http://www.stringer.it/Stringer%20Schede/HR_labour.htm

venerdì 1 agosto 2008

Olimpiadi

Pechino revoca censura su diversi siti internet
Torna visibile Amnesty International

Pechino, 1 ago. (Apcom) - La Cina ha annunciato oggi di aver tolto la censura su numerosi siti internet, tra cui quello di Amnesty International, dopo le pressioni ricevute per consentire la massima libertà ai giornalisti nella sala stampa allestita per i Giochi. "E' una notizia positiva" ha commentato la portavoce del Comitato olimpico internazionale, Giselle Davies.

Se i siti di Amnesty International e Reporter sans frontières sono ora accessibili, rimangono oscurati quelli della Bbc in cinese, dei dissidenti e dei pro-tibetani.